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DESIGN TALKS – Ep.1 : La Complessità nella Progettazione Internazionale

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Porsi le domande corrette per rispondere ai reali bisogni che scaturiscono dall'interazione di sistemi complessi.

All'interno della prima diretta dei DESIGN TALKS, dove diamo voce al mondo del Design e della Progettazione allo Sviluppo, in collaborazione con il Laboratorio Design per la Sostenibilità del DIDA dell’Università di Firenze; abbiamo affrontato il tema della "complessità" con il Prof. Marco Fioravanti, tecnologo del Legno e Professore Associato del corso di Agraria dell’Unifi.

🎥 Potete trovare la diretta del primo episodio di “DESIGN TALKS” sul nostro canale Instagram al seguente link!

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Abbiamo spoilerato un primo concetto che ci avevi espresso nella chiamata di preparazione, ossia: “Non vi darò risposte ma vi prometto che farò buone domande”

Si, per riportare correttamente il concetto espresso, in cui credo molto; penso che in questo momento dato il rapporto che abbiamo con la complessità sia molto più importante riuscire a costruire buone domande se vogliamo sperare poi di avere delle risposte che siano efficaci.
Il che non è facile perché avendo a che fare con la complessità, come facciamo nel corso di laurea Design per la Sostenibilità, ci interfacciamo con domande e questioni che sono completamente aperte.
La complessità ci sta mettendo di fronte al tema della “relazione”, ossia i sistemi in cui siamo inseriti sono essi stessi complessi, non lineari e che hanno una componente di casualità che è significativamente importante.
Tale casualità si scontra con il metodo di ricerca che ci ha contraddistinti per tanti anni, ossia quello di cercare una “causa”.

La casualità penso sia l’incubo di ogni progettista, ma penso sia importante tenerne di conto in quanto fa parte della realtà, corretto?

E’ proprio lì dove dobbiamo cercare l’Innovazione; dobbiamo essere bravi a riportare questa “casualità” come componente chiave del progetto, perché quest’ultima è una componente strutturale della complessità.

Quindi porsi le corrette domande serve a individuare i bisogni a cui, tramite la progettazione, si vuole dare risposta? Domande non corrette o forzate potrebbero aumentare la forbice di differenza tra il bisogno e la risposta progettuale?

Si, c’è un aspetto molto importante della fase di costruzione della o delle domande, che è questo: la complessità è un legame molto stretto di sistemi che si relazionano tra di loro e che non si manifestano in una linea temporale precisa, il che può renderle meno evidenti.
La parte che ritengo molto importante è la definizione del sistema all’interno del quale andiamo a operare

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Vi è anche il tema dell’interdisciplinarità; ci sono ormai più discipline coinvolte, è obsoleto pensare di progettare tenendo conto di una singola materia. La complessità ci toglie un recinto, come se ci trovassimo a progettare in mare aperto senza punti di riferimento. La mappatura del sistema e le sue relazione ci rende alcuni punti di ancoraggio?

Esatto, definire un focus su cui far convergere le discipline.
Definito quest’ultimo saremo in grado di comprendere quali sono le persone, le discipline e i saperi che ci possono aiutare a ricostruire questo quadro di complessità.

Ci sono le relazioni al centro di una grossa parte del lavoro dei progettisti e delle progettiste.
Non può esistere un’unica figura ma sarà necessario individuare in quali aree andare ad operare, di conseguenza quali figure saranno necessarie e come quest’ultime si relazioneranno tra di loro.
Al momento questa relazione tra diversi campi tecnici sembra ancora un po’ difficoltosa.

Eh si, questo è un tema centrale; tant’è che con la cattedra Unesco, di cui faccio parte, Sviluppo Umano e Cultura di Pace stiamo organizzando un evento dal titolo “L’altro, necessario” che si pone come obiettivo quello di indagare i rapporti tra le discipline e come quest’ultimi si sono antropologicamente costituiti, ossia attraverso la divisione delle aree del sapere.
Importante è capire come si può “ricomporre” il sapere.
La specializzazione del sapere è stata molto importante in quanto la complessità che ci circondava era troppo grande e abbiamo avuto necessità di “spezzettarla” per poterla analizzare; adesso stiamo vivendo i limiti di tale approccio che ci richiedono dei correttivi. Correttivi che non passano attraverso la distruzione del sapere disciplinare ma dobbiamo essere capaci di costruire dei ponti, qui il Design può giocare un ruolo importantissimo.
Innanzitutto, perché viene da una storia di costruzione di ponti, essendo una disciplina di sintesi e quindi di relazioni, se mi permettete una critica da non Designer vi dico che bisogna fare attenzione perché la fase di sintesi non può essere fatta da una persona sola.

Pensi che all’interno delle discipline stesse si debba creare questa figura di ponte?
Ossia all’interno di una stessa disciplina avere figure che vanno nel profondo e quindi nel sapere disciplinare e altre che con una preparazione apposita fungono da connessione tra le diverse aree del sapere.

Devo dire che le parole hanno un loro significato e questo è importantissimo.
Nel nostro gruppo di lavoro differenziamo le parole “interdisciplinare”, “multidisciplinare” e “transdisciplinare” che spesso vengono usate come sinonimi ma che in realtà non lo sono.
Multidisciplinare pone al centro una disciplina che costruisce e sintetizza il progetto ed è un po’ la storia della nostra progettazione.
Interdisciplinare nasce da un rapporto più profondo tra le discipline e molto spesso da quest’ultimo nascono nuove discipline che sono frutto delle contaminazioni.
Il punto essenziale è che entrambe delle due precedenti dimensioni ci pongono sempre nel dominio disciplinare; per questo noi parliamo di una dimensione che sia Transdisciplinare e che vada oltre il modo di creare relazioni tra le discipline.

Vorrei farti un’ultima domanda: vista la necessità continua di cambiare il nostro approccio nella progettazione; secondo te quella di adesso è una rivoluzione o è semplicemente un cambiamento che arriverà con delle tempistiche e degli step più “dolci”?

Credo che siamo di fronte ad un cambiamento molto profondo, quanto non lo so, uno dei problemi è che ne siamo immersi e averne la percezione è molto complesso.
Stiamo compiendo un viaggio all’interno di un percorso in cui i tempi si stanno accorciando, questo è un elemento di criticità che ci obbliga a fornire risposte in tempi sempre più brevi.
Dobbiamo recuperare molto presto una dimensione di coesistenza con la biosfera e che ci rende consapevoli del fatto che non esiste “la nostra vita” ma esiste “la vita” come un sistema allargato e complesso che racchiude tutto l’esistente… abbiamo bisogno di Filosofia.

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